È stato appena pubblicato sulla rivista internazionale JAMA Network Open l’articolo che presenta i risultati dello studio START, che dal 2015 ha seguito oltre 900 pazienti con una nuova diagnosi di tumore della prostata a basso rischio, coinvolgendo tutte le principali Strutture di urologia, radioterapia e anatomia patologica del Piemonte e della Valle d’Aosta.

Lo studio, promosso dalla Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta grazie a un finanziamento della Fondazione Compagnia di San Paolo, è stato coordinato dalla SSD Epidemiologia Clinica dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino - CPO Piemonte. Si tratta di uno dei rari studi condotti su un’intera rete ospedaliera interregionale per offrire ai pazienti con una nuova diagnosi di tumore della prostata a basso rischio la possibilità di scegliere fra i tradizionali trattamenti radicali (chirurgia o radioterapia) e un programma di sorveglianza attiva, basato su regolari controlli clinici, di laboratorio e, con intervalli maggiori, di tipo strumentale.

Prima dello studio START la sorveglianza attiva veniva proposta raramente, da pochi centri, e solo a pazienti molto informati e motivati. Questa difficoltà a proporre la sorveglianza attiva dipendeva da diversi fattori, tra cui: l’incertezza sui risultati di lungo periodo, il timore di incorrere in contenziosi medico-legali, l’eterogeneità di approcci tra diversi specialisti e una comprensibile difficoltà da parte dei pazienti nel ricevere al tempo stesso una diagnosi di tumore senza l’indicazione di un trattamento attivo.

Grazie allo studio START è stato possibile concordare tra i Centri di urologia, radioterapia e anatomia patologica delle due regioni un protocollo comune di offerta della scelta tra queste diverse strategie di trattamento ai pazienti con nuova diagnosi di tumori della prostata a basso rischio di progressione, come raccomandato da anni da tutte le Linee guida internazionali e nazionali, inclusa una linea guida regionale del 2009. Il protocollo START prevedeva una chiara spiegazione della diagnosi, della prognosi e delle diverse alternative di trattamento, inclusa la sorveglianza attiva. 

Il risultato più rilevante dello studio è che, dopo essere stati correttamente informati, oltre l’80% dei pazienti ha optato per la sorveglianza attiva. I dati raccolti durante lo studio, che ha seguito negli anni tutti i pazienti, indipendentemente dalla loro scelta, hanno confermato un’identica probabilità di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi tra le diverse scelte terapeutiche, in linea con i risultati a 15 anni di PROTECT, il più importante studio internazionale finora disponibile. Tra i fattori che hanno contribuito a rassicurare medici e pazienti nella scelta della sorveglianza attiva hanno avuto un ruolo importante la discussione multidisciplinare dei casi tra i diversi specialisti (in linea con l’approccio adottato dalla Rete Oncologica dei Gruppi Interdisciplinari di Cura, GIC) e la possibilità dei patologi di ciascun ospedale di chiedere conferma delle caratteristiche di basso rischio della biopsia ai colleghi più esperti su queste diagnosi di altri ospedali.

Restano alcuni aspetti che andrebbero migliorati, in particolare si dovrà rendere più omogenea tra i centri l’applicazione dei criteri per consigliare l’abbandono della sorveglianza attiva e il passaggio a un trattamento radicale (che spesso è avvenuto in modo troppo precipitoso e con prevalente indirizzo chirurgico). Attraverso lo studio sono state anche raccolte informazioni sulla qualità di vita dei pazienti che hanno effettuato le diverse scelte terapeutiche; questi dati sono attualmente oggetto di analisi approfondite e verranno pubblicati a breve.

Infine, un tema di grande importanza sarà la tenuta nel tempo di questa nuova strategia terapeutica, dopo la conclusione dello studio START, per assicurare anche in futuro una scelta informata e consapevole dei pazienti e un programma attento di sorveglianza attiva.

L’esperienza di START dimostra in modo evidente che iniziative di ricerca nell’ambito Servizio Sanitario Nazionale sono in grado di raggiungere risultati di interesse scientifico internazionale e al tempo stesso di contribuire al miglioramento della qualità e dell’equità dell’assistenza e la positiva collaborazione tra le strutture sanitarie della Rete Oncologica.